La corona, porzione del dente visibile all’interno del cavo orale, è costituita negli strati più profondi dalla polpa contenuta nella camera pulpare, intorno alla quale si trova uno strato di dentina ricoperta dallo smalto. Il colore dei denti, determinato geneticamente, è dato dalla dentina, mentre la
lucentezza e la trasparenza sono date dallo smalto.
Il colore dei denti scurisce tra la dentizione primaria e secondaria a causa dell’incorporazione di pigmenti estrinseci e dell’usura dello smalto che influenza il colore della sottostante dentina. È, inoltre, da sottolineare che anche la recessione gengivale può influenzare direttamente o indirettamente il colore dei denti. Qualsiasi modifica delle strutture descritte può influenzare l’incidenza ed il riflesso della luce e, conseguentemente, indurre un’alterazione del colore dei denti. I denti, inoltre, possono pigmentarsi differentemente anche a causa di altri fattori.
Un certo numero di malattie metaboliche e sistemiche, di seguito elencate, sono note influenzare la dentatura in via di sviluppo e causarne la pigmentazione: alcaptonuria, porfiria eritropoietica congenita, iperbilirubinemia congenita, amelogenesi e dentinogenesi imperfetta. È ben noto, inoltre, che la fluorosi, l’ipoplasia dello smalto, i prodotti emorragici nella polpa, il riassorbimento radicolare, l’invecchiamento, l’accumulo di ferro nei tessuti e nella saliva e le assunzioni ripetute di tetraciclina concorrono all’alterazione del colore dei denti (1).
La pigmentazione nera, detta black stain, è frequente nei soggetti pediatrici ma può anche manifestarsi negli adulti, indipendentemente dal sesso. È caratterizzata da una linea nera continua o tratteggiata sulla superficie del dente o sul contorno gengivale. È costituita da solfuri ferrici depositati sulla superficie dei denti a seguito della reazione chimica tra il solfuro d’idrogeno, prodotto dai batteri anaerobi e l’eccesso di ferro nella saliva. Come già riportato nei precedenti articoli pubblicati in questa rivista (2),
l’elevata concentrazione di ioni ferrici nella saliva (>10-18 M) possono derivare dal sanguinamento gengivale o più in generale da disordini dell’omeostasi del ferro. I disordini dell’omeostasi del ferro consistono nel sovraccarico di ferro nei tessuti e secrezioni e nella carenza di ferro in circolo (2, 3).
Inoltre, il regolare consumo di alimenti ricchi in ferro e di integratori vitaminici contenenti ioni ferrici, durante la gravidanza o la prima infanzia, favorisce lo sviluppo di un microbiota cromogeno (4).
Anche altri metalli di transizione possono modificare il colore dei denti. In particolare, il rame causa una pigmentazione verde nei lavoratori che, nelle industrie, vengono in contatto con questo elemento (5). Altri sali metallici, contenuti nei collutori, sono associati ai pigmenti, come il permanganato di potassio (da viola a nero), il nitrato d’argento (grigio) e il fluoro (bruno dorato).
La formazione del pigmento, anche in questi casi, è associata alla reazione tra gli ioni presenti in eccesso nel soggetto ed i solfuri d’idrogeno sintetizzati dai batteri anaerobi.
Anche l’uso della clorexidina, come pure di altri antisettici, può catalizzare alcuni steps della reazione di pigmentazione (6). Inoltre, l’assunzione di bevande come tè, caffè e vini rossi contemporaneamente alla clorexidina aumenta la pigmentazione e l’interazione con gli ioni metallici. Infatti, in passato, si riteneva che per la formazione dei pigmenti fosse necessaria anche la presenza di ioni metallici contenuti nei cibi o bevande o nei farmaci o nei prodotti nutrizionali (7, 8). Tuttavia, l’elevata concentrazione di ferro non era mai stata associata ad altre patologie, incluse quelle ormai note, che coinvolgono l’omeostasi del ferro (2, 3). Infatti, grazie alle recenti scoperte sull’omeostasi del ferro, i dati ottenuti in passato non devono essere presi in considerazione in quanto non analizzano alcun parametro che permetta di distinguere lo stato fisiologico del cavo orale da quello patologico.
In situazioni fisiologiche, la concentrazione di ferro disponibile nei tessuti e secrezioni è pari a 10-18 M e pertanto molto lontana da quella necessaria alla replicazione batterica e alla conseguente formazione di solfuri ferrici.
In situazioni patologiche, invece, il ferro disponibile nei tessuti e secrezioni è maggiore di 10 µM e pertanto sufficiente alla replicazione microbica e alla formazione della pigmentazione. Inoltre, la pigmentazione nera, come anche lo sviluppo di colorazioni o pigmentazioni varie sulla superficie dei denti, è dovuta anche alle proteine salivari ricche in prolina. La prolina ha un’elevata affinità di legame con composti fenolici e poli-fenolici ampiamente presenti negli alimenti vegetali e nelle bevande incluso il vino
rosso (9).
Inoltre, per ciò che concerne il microbiota presente sulla superficie del dente affetto da black stain, esso è composto da batteri Gram-positivi anaerobi cromogeni tra cui Actynomices israelii, Actynomices naeslundi produttori di idrogeno e da Streptococcus mutans come pure da batteri Gram-negativi anaerobi come Porphyromonas gingivalis e Prevotella melaninogenica (10). Sorprendentemente, è importante sottolineare come soggetti con questo tipo di pigmentazione siano meno suscettibili alle carie (11).
Le pigmentazioni si classificano come estrinseche, intrinseche e interne.
La pigmentazione estrinseca è localizzata sulla superficie più esterna del dente, precisamente sullo strato dello smalto. Essa è dovuta, per la maggior parte, ai cromogeni contenuti in cibi e bevande che si depositano sullo smalto.
Tra le sostanze cromogene vanno annoverate la caffeina, il catrame e la nicotina contenute nei sigari, il tannino contenuto nel tè ed i polifenoli presenti nei vini, soprattutto quelli rossi. L’origine della pigmentazione può anche essere dovuta ai solfuri ferrici formati a seguito del metabolismo degli anaerobi ed ad un eccesso di ferro o ai pigmenti fenolici o poli-fenolici naturali che possono essere incorporati nella pellicola acquisita, nella placca batterica e nel tartaro producendo, così, una colorazione nella superficie del dente.
Anche le tetracicline possono alterare la pigmentazione del dente, soprattutto se assunte in età infantile, durante lo sviluppo della dentatura definitiva. La pigmentazione intrinseca, invece, è decisamente più severa dell’estrinseca, poiché coinvolge la superficie profonda del dente sotto lo smalto: la dentina. Implica, pertanto, una modifica della composizione della struttura o dello spessore dei tessuti duri dentali.
Nei casi di comparsa di macchie intrinseche si deve ricorrere ad un igienista dentale. Alcuni di questi pigmenti sono associati al consumo di alcune sostanze, ma ne esistono altri associati a particolari anomalie nella rimineralizzazione naturale del dente, a malattie genetiche o ad un eccesso nell’acquisizione di fluoro.
La pigmentazione interna consiste nell’incorporazione di un pigmento estrinseco all’interno della sostanza dentale successivo allo sviluppo del dente. Essa è associata a difetti dello smalto e della superficie porosa della dentina esposta. Le vie attraverso le quali i pigmenti possono diventare interni sono: difetti dello sviluppo, difetti acquisiti, usura dei denti, recessione gengivale, carie e materiali utilizzati nella ricostruzione dentale.
È ormai appurato che l’elevata concentrazione di ferro disponibile è dovuta a disordini dell’omeostasi del ferro causata anche da processi infiammatori.
In presenza di IL-6, citochina pro-infiammatoria, il ferro è accumulato nelle cellule e nelle secrezioni. L’accumulo di ioni ferrici, oltre a causare la moltiplicazione batterica, la formazione dei superossidi ed il danno cellulare associato ad una infiammazione patologica distruttiva, può reagire con solfuro di idrogeno sintetizzato da batteri anaerobi, formando solfuri ferrici.
La corretta diagnosi delle cause della pigmentazione è fondamentale in quanto condiziona la scelta del trattamento più appropriato.
La terapia classica applicata nella cura di queste patologie consiste nella rimozione dei pigmenti attraverso numerosi metodi inclusi i dentifrici sbiancanti, la pulizia professionale, la lucidatura e la micro-abrasione con abrasivi e acidi.
Alcuni prodotti contenenti Lactobacillus sono indicati nell’eliminazione dei cromogeni, anche se non ci sono dati in letteratura e non esiste un razionale sull’uso di Lactobacillus reuteri nell’eradicazione dei pigmenti inclusa la black stain.
Ne consegue che poter disporre di un’efficace terapia nella cura delle pigmentazioni dei denti rappresenta ancora una sfida per gli igienisti dentali e per i dentisti in quanto, anche dopo l’igiene professionale, la pigmentazione tende a riformarsi. Infatti, l’igiene professionale risolve momentaneamente i problemi estetici, ma non cura le cause della formazione di questi pigmenti.
Le sperimentazioni in vivo sull’uso della lattoferrina nella prevenzione e cura delle black stains sono basate sul razionale che la lattoferrina, sottraendo ferro all’ambiente, inibisce lo sviluppo dei batteri e la produzione di solfuri d’idrogeno, evitando così la formazione di solfuri ferrici. Inoltre, la potente attività antiinfiammatoria della lattoferrina evita sia il sanguinamento che il sovraccarico di ferro nella saliva. Sono in corso delle sperimentazioni sulla somministrazione due volte al giorno lontano dai pasti di compresse orosolubili contenenti 50 mg di lattoferrina.
Dottor Sangermano, le accade spesso di ricevere pazienti affetti
da pigmentazioni dentali?
Molto spesso nei nostri studi giungono alla osservazione pazienti affetti da queste spiacevoli macchie antiestetiche di colore nero denominate black stains. Solitamente mostrano una certa familiarità e sono caratteristiche dell’età pre-puberale, anche se non disdegnano quella adulta.
In genere, i genitori accompagnano i figli dal proprio igienista dentale allarmati in merito al fenomeno antiestetico della pigmentazione che molto spesso viene confusa con le carie.
Allora, come procede dopo aver appurato la veridicità delle affermazioni dei genitori?
Ovviamente, dopo aver visitato i ragazzi, fornisco ai genitori una spiegazione su come si formino queste pigmentazioni e, soprattutto, descrivo le procedure da mettere in atto per contrastarle. Espongo, inoltre, come negli anni si siano succedute varie teorie per spiegare le cause di questo innocuo ma antiestetico fenomeno: infezioni micotiche, saliva acida ed altre fantasiose speculazioni.
Dopo queste brevi premesse, descrivo come la vera causa delle black stains sia la formazione di un composto chimico, solfuro ferrico, che precipita sulla superficie dei denti pigmentandoli in modo indelebile e non asportabile con le normali procedure di igiene domiciliare del cavo orale. In particolare, alcuni batteri anaerobi presenti nel nostro cavo orale, detti batteri cromogeni, producono il solfuro di idrogeno che reagisce con il ferro libero, presente patologicamente in elevata concentrazione nella saliva, formando solfuro ferrico che precipita.
Infatti, nei soggetti sani il ferro libero e disponibile non è presente.
Il solfuro ferrico precipitato prevalentemente sulle zone più ruvide e nascoste ha un colore nerastro e tende a formare un orletto che segue solitamente il disegno della gengiva intorno al dente, con una intensità cromatica variabile e sempre molto antiestetica (fig. 1).
Occorre ricordare che, statisticamente, i soggetti affetti da questa innocua patologia, sono meno soggetti a carie. Questo, probabilmente, perché le specie batteriche responsabili di questo fenomeno sono presenti in maggior numero rispetto a quelle responsabili della carie. Giova ricordare che nei soggetti giovani, queste forme, a volte tendono a regredire con lo sviluppo puberale ed il passaggio alla vita adulta.
Questa patologia è trasmissibile?
Molto spesso, come ho già detto, si riscontra una certa familiarità ma sembra che possa avvenire anche uno scambio diretto dei batteri cromogeni (effusioni) o indiretto, tramite utensili (spazzolini, posate). Una raccomandazione può essere quella di non lasciare gli spazzolini da denti a contatto e bagnati nello stesso contenitore. Il bagno infatti, essendo un ambiente caldo-umido, rappresenta un habitat ottimale per la proliferazione batterica e fungina.
Dopo aver fornito tutte queste spiegazioni, cosa propone come
terapia?
Propongo la rimozione immediata degli inestetismi mediante ultrasuoni, paste per lucidare e polveri veicolate attraverso getti di aria ed acqua. Inoltre, spiego in modo dettagliato che l’igiene professionale risolve, momentaneamente, i problemi estetici ma non cura le cause della formazione di questi pigmenti.
Conosce la lattoferrina, la proteina multifunzionale presente
nella saliva?
Sì, ho letto numerosi articoli su riviste internazionali che spiegano dettagliatamente le molteplici funzioni di questa proteina presente in tutte le secrezioni umane inclusa la saliva.
Mi è sembrato sorprendente che non esista né un farmaco né un prodotto naturale che svolga, contemporaneamente e senza effetti indesiderati, un’attività antimicrobica, antiinfiammatoria e antiossidante come la lattoferrina.
Ha ragione, ma non si deve sorprendere in quanto la lattoferrina è la principale proteina sintetizzata dai neutrofili nei siti d’infezione e d’infiammazione ed il fattore più importante dell’immunità naturale delle secrezioni. Grazie alla sua capacità di chelare gli ioni ferrici inibisce lo sviluppo batterico e potrebbe interferire nella formazione dei solfuri ferrici causa della black stain. Ha mai testato la lattoferrina nei suoi pazienti affetti da black stain?
Sì, recentemente in collaborazione con Omar Cutuli, Cosimo Prete, Loretta Piras e Anthea Toso, igienisti dentali, abbiamo testato la lattoferrina nella cura della black stain.
Abbiamo arruolato 5 pazienti affetti da black stain e li abbiamo trattati con una compressa orosolubile contenente 50 mg di lattoferrina, due volte al giorno lontano dai pasti.
Ai soggetti arruolati, abbiamo prescritto di non masticare la compressa ma di lasciarla sciogliere lentamente nella saliva e spargerne il contenuto con la lingua. Non abbiamo modificato né le abitudini di igiene professionali, né quelle di igiene domiciliare.
Il controllo successivo è stato fatto tra i 60 ed i 90 giorni dalla prima igiene professionale.
Che risultati avete ottenuto?
I risultati ottenuti sono stati molto entusiasmanti, come dimostrato dai dati di seguito riportati.
Il primo paziente, di sesso maschile e di anni 12, era affetto da black stain e non manifestava altre patologie o fenomeni allergici degni di nota. Non si riscontrava familiarità per il black stain. Le immagini prima e dopo 90 giorni di trattamento con 2 compresse orosolubili con 50 mg di lattoferrina sono riportate nella figura 2.
Il secondo paziente, di sesso femminile e di anni 36, era affetto da black stain e non manifestava altre patologie degne di nota.
Non era fumatrice né assumeva alcoolici e ogni 6 mesi si recava dall’igienista dentale. Nell’esecuzione dell’igiene orale domiciliare, spazzolava i denti 3 volte al giorno con uno spazzolino manuale. L’alimentazione prediligeva una dieta vegetariana. Non si riscontrava familiarità per il black stain. Le immagini prima e dopo 90 giorni di trattamento con 2 compresse orosolubili con 50 mg di lattoferrina sono riportate nella figura 3.
Il terzo paziente, di sesso maschile e di anni 17, era affetto da black stain e non manifestava altre patologie degne di nota. Si riscontrava familiarità per il black stain. Le immagini prima e dopo 90 giorni di trattamento con 2 compresse orosolubili con 50 mg di lattoferrina sono riportate nella figura 4.
Il quarto paziente, di sesso femminile e di anni 50, era affetto da black stain e non manifestava altre patologie degne di nota. Non era fumatrice ed era precisa nelle visite programmate dall’igienista dentale. Si riscontrava familiarità per il black stain. Le immagini prima e dopo 90 giorni di trattamento con 2 compresse orosolubili con 50 mg di lattoferrina sono riportate nella figura 5.
Il quinto paziente, di sesso maschile e di anni 16, era affetto da black stain e non manifestava altre patologie degne di nota. Era allergico all’Alternaria (muffa). Le immagini prima e dopo 90 giorni di trattamento con 2 compresse orosolubili con 50 mg di lattoferrina sono riportate nella figura 6.
Può quindi descrivere i vantaggi di questa terapia innovativa?
Da questa breve ma significativa esperienza personale, si può dedurre che la lattoferrina può essere un’efficace e innovativo trattamento in grado di contrastare questa innocua, ma antiestetica patologia.
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